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mercoledì 5 ottobre 2016
Chiaritas: "tutta la verità": Roma- Costantinopoli Ag/R
Chiaritas: "tutta la verità": Roma- Costantinopoli Ag/R: Tornare a parlare di dialogo interreligioso (e “con” dialoghi interreligiosi) non è ancora mai scontato né facile. Soprattutto se il diba...
lunedì 3 ottobre 2016
Roma- Costantinopoli Ag/R
Tornare a parlare di dialogo interreligioso (e “con”
dialoghi interreligiosi) non è ancora mai scontato né facile.
Soprattutto se il dibattito ha per tema la Teologia della
Chiesa. O meglio le teologie delle Chiese. Quella scienza del divino che ha per
strumento il culto, la fede, la preghiera. Questione prima, che si è tornata a
porre su un tavolo comune ed ecumenico nello scorso evento mondiale di Chieti. A Chieti infatti, dal 15 al 22 settembre si è svolta la Quattordicesima Sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse nel loro insieme.
Toccando nel profondo essere, e su nervi talora scoperti e
sensibili, la questione fondamentale. Chi è Dio? Quale il suo volto, e il suo
comandamento più importante? E il suo Verbo? Come comprenderlo, interpretarlo,
renderlo vita?
Le risposte, molte e ubique, talora dolorosamente
divergenti per le comunità religiose e sociali sono ancora tutte valide.
Ma tutte le Chiese e religioni hanno un nesso comune:
l’uomo ha bisogno di spirito, Dio può trovarsi in ogni angolo dell’universo e
anzi, il cosmo che si spalanca con stupore di fronte ai nostri occhi ha assai
più profonde semenze, fini e ragioni di quanto appaia alla nostra fragile
scienza o alla nostra più luminosa speranza.
E la profonda umanità stessa di questo bisogno di “divino”
e di ottenere intima verità è la riposta alla domanda di prima: cosa accomuna i
vari credo religiosi al mondo?
A giudicare dall’incontro di Chieti, non conta quale sia il
nome di Dio quale i suoi riti e attributi. Se sia un’unità provvidente e
benevola, un meccanismo intrinseco o un padre severo, o una guida ascetica, o
uomo fatto uomo tra gli umili.
No. Questo Dio, del destino e del tempo, questo vento che
ci spinge dentro soffiando nella coscienza e suggerendo il bisogno di verità e
giustizia; questo Dio che ci spinge alla carità e alla pace. E’ per tutti. Il
sinodo si pone dunque come modello di civiltà e squaderna le sue voci una per
volta. Cruciale l’incontro in tempi come i nostri, in cui spesso si dimenticano
i comandamenti fondamentali di Dio e della nostra più sincera coscienza. Ad
esempio si possono portare le X Tavole della Legge della Chiesa Cattolica, per
constatare quanto i principi trascendentali delle nostre religioni siano traditi
con facilità.
A questo si aggiunga che proprio in nome della divinità si
proclamano guerre, sguainano spade e caricano mitra in vari luoghi perseguitati
del mondo.
Dilaniati dalla paura, dal ricatto e dalla violenza, gli
abitanti non conoscono più il dono rigenerante della quiete e dell’armonia con
chi sta loro accanto, più o meno lontano.
Paura, prima di tutto. Degli altri, ma anche del lato
oscuro che si annida in ognuno di noi, finché non lo vorremo osservare amare e
guidare. Ed è con questa paura addosso che i popoli si barricano dietro le
proprie ortodossie più radicali, come fossero armature fossili e ideologiche. Che
tolgono il respiro a chi le indossa e allontanano ogni rischio di contatto
leale e umano con i nostri vicini, bambini donne e uomini uguali a noi, ma diversi, per politica storia, colore della
pelle, religione, e più spesso economie.
Tra lampi di guerra, scenari di lacrime e sangue, gli
uomini di Chiesa provano a mettersi intorno a un tavolo come fosse una mensa
comune e raccontano i propri punti di vista, cercando di ricucire gli strappi
della storie, e guarire le ferite delle guerre sante e passate. E certamente
ogni esponente del suo credo avrà chiesto al divino in cui ha fede di dare luce
ai loro intelletti e dissetarli di verità e idee buone.
Significativo ambientare a Chieti questo cenacolo delle
religioni. Città d’Abbruzzo, regione simbolo e stigma di una civiltà che dimentica
di ascoltare il bisogno dei fratelli e di rispondere col cuore al loro grido di
aiuto.
L’Aquila una città immensa di storia è scomparsa, sommersa dalla disonestà e dalla
slealtà di chi le promesse di tendere una mano sensibile e generosa le aveva
fatte a voce alta.
In tempi di terremoti redivivi, di opere d’arte che
diventano cenere per calamità o per la barbarie di guerre religiose, che
vogliono colpire al cuore l’arte di un popolo nemico per cancellarlo dalla
carta geografica la scelta di Chieti è dunque evocativa e ammonitrice: non
dobbiamo dimenticare chi soffre accanto a noi, perché la sua infelicità renderà
i nostri deschi quotidiani intristiti e il nostro benessere solo apparente e
stinto.
Nella sofferenza Dio ci invia sempre un’opportunità grande.
E ora il terremoto di Amatrice e degli altri luoghi d’Italia colpiti giunge a verificare
se la storia è stata maestra di vita, se l’errore è stato occasione di
apprendimento ed evoluzione. Amatrice non può e non deve avere il destino de
L’Aquila, perché il dolore dei
terremotati e di tutti quelli a loro vicini non sarà invano.
Dare una coperta calda a chi ti abita un isolato dopo o
cercare di arginare e arrestare le scie di odio nei focolai di guerra nel mondo
sono la stessa cosa. Come gettare una cartaccia nel cassonetto per amore
dell’ambiente casa comune, o dare acqua alla rosellina rossa del proprio
giardino.
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