venerdì 15 luglio 2016





Essere arte immersa nell’arte non sempre è facile. Anzi. Si è controcorrente, controvento, talmente avanti da non essere compresi o addirittura diventare temuti, criticati, messi all’angolo per le proprie profetiche intuizioni. Essere artista significa amare e soffrire, e sempre in salita. Come ogni pecora nera che si rispetti.

Verdecchia Piero, Classe 1984, nato a Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno. “Ragazzo semplice amico di tutti, grande fratello incompreso dalla sua stessa “ridente cittadina, di mare morente” è qualcosa in più, ma poco altro possiamo dire. Perché Verdecchia, in arte CìPìCì , non ha ancora minimamente capito cosa vuol fare nella vita.

Anzi, della sua vita. La sua sì. Perché Pièr è uno dei tanti esempi viventi e brillanti del disagio giovanile, che falcia fresche promesse di futuro tra i suoi cittadini pur di non investire qualcosa in più nel loro potenziale. Pur di non accollarsi l’impegno di lasciar loro un’eredità morale, molti talenti nostrani sono gettati dai governanti  nell’ombra, appartati negli spazi destinati agli ultimi, agli scartati, ai diseredati e rinnegati.

Ma, come scrive Papa Francesco nel suo saggio dedicato all’arte, quest’ultima ha il dovere di essere sempre universale e assoluta, e proprio per questo di arrivare indistintamente a tutti, anche a chi non ha mezzi o voce in capitolo nel procedere del nostro attuale sistema agonizzante. Poco sociale e locale, ma molto globale.

L’arte germina dunque dal rifiuto, dalla pietra di scarto che, come un atto di giustizia, si fa pietra angolare. Dal rifiuto rinasce tutto, come dal letame. E di rifiuti Pier ne conosce tanti. Non solo quelli dei suoi cari, degli amici, o quello inferto anche agli altri compagni di sventura. Gli insulti, nati quasi sempre dalla Gorgone della vox populi hanno bollato tutto il pacchetto - Piero con una parola, piccola ma dura come macigno: Piero? Piero chi? Il tossico?

E mentre l’establishment dell’arte, il gotha delle gallerie e le massaie di paese ignorano la fervida mente creativa del Verdecchia, intanto nel SERT di San Benedetto del Tronto una splendida Madonna in bianco e nero, disegnata per rabbia o per amore, dal giovane artista di Grottammare, viene svenduta velocemente e di soppiatto in cambio di una boccetta in più di metadone.

Mentre nelle cabine telefoniche l’artista combatte contro l’astinenza e cerca di raggiungere lo spacciatore, quel suo angelo della morte quotidiano,  con l’ultima telefonata e gli ultimi spicci, mentre pervicace cerca una dose ecco che il genio intanto s’invola, Piero prende il suo pennarellone nero e inizia a tracciare segni.

Segni polimorfici e a volte polimaterici, mischiati a sputo, foglie, tabacco e gocce di alcol e sangue. Sono segni che sono segnali, che non sanno da dove nascono né dove vogliono arrivare. Immagini in nuce, ancora solo nella mente di Dio, perché quando lui posa la punta della matita o del pennarello sulla liscia e bianca carta non sa cosa deve fare. Piero riporta e lascia all’umanità indizi di sé scrivendo sui vetri di plexiglas delle ultime cabine telefoniche sopravvissute alla rottamazione, sui muri del centro commerciale, lungo gli snodi serpentini della ferrovia regionale, sotto le finestre delle più belle ragazze del posto, o tra le sottovesti della sua preferita amante e fatina Clara C.

Piero è un segno tracciato appena, quasi schizzato di getto, e in perenne movimento e divenire, Un segno timido, che ancora non coglie la sua più essenziale e intima strada: sono pittore? Sono scrittore? O semplicemente sono Piero il tossico?

E mentre il dubbio di questa domanda si dipana nella mente spesso solitaria, a volte troppo socievole per riuscire tollerabile, e a volte divinamente visionaria, intanto l’arte si fa strada, avanza imperterrita e innamorata della vita tutta, attraverso il canale privilegiato del ritratto. La carne, gli sguardi, le labbra, gli incarnati e le gote. Fino in fondo. Nell’anima della gente, di chi si fa guardare, lì dove nel volto di un uomo o di una donna il sole esplode dietro agi occhi e l’alba si arresta.

E se i luoghi comuni, pur stucchevoli e ritriti, hanno pur sempre le loro ragioni, e se dunque è vero che “trovatelo voi oggi un giovane artista che sappia ancora fare un ritratto, che sappia disegnare un volto o cesellare con l’ombreggiatura una muscolatura! ”, allora è altrettanto vero che Piero è un artista diverso. Una promessa di futuro che coniugherà la tecnica e l’olimpica classicità con la più caustica e struggente contemporaneità.

E’ l’essere attuale e l’esserci di un gesto artistico che non sa minimamente quanto possa essere bello.

Terra vergine emersa dal grigiore di una provincia qualunque,  Piero Verdecchia farà parlare di sé.

Sia pure continuando a restare tra gli invisibili.-  Ma non era l’invisibilità il più grande dono di ogni uomo quando diventa supereroe?-  ricorda l’acclamatissimo street artist Banksy.

Ma se le cose procedono su questo crinale, tra un’iniezione di eroina e l’ispirazione alta della prima mattina l’arte di Piero crescerà e feconderà il terreno.

Fino ad arrivare, anonima, ultima tra gli ultimi, sorniona e sovversiva, sulla scrivania del grande artista senza volto e senza connotati Banksy. Uno dei più quotati.

E a quel puto sarà l’artista americano ad avere un ritratto, sia esso una Donna, una Madonna o una puttana,  del Piero Verdecchia piceno, di mano sensibile sensuale e sensitiva, ma senza identità. Questa Madonna Nera arriverà. Per campeggiare in eterno nella fervida stanzetta di Banksy, artista tra gli artisti, sorpassato dall’istante di arte, sincero, presente e vivo,  di Piero. Piero tossico. Ma soprattutto Piero artista.

Chiara Crialesi
https://www.facebook.com/piero.verdecchia/photos?source_ref=pb_friends_tl


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