Essere arte immersa nell’arte non sempre è facile. Anzi. Si è controcorrente, controvento, talmente avanti da non essere compresi o addirittura diventare temuti, criticati, messi all’angolo per le proprie profetiche intuizioni. Essere artista significa amare e soffrire, e sempre in salita. Come ogni pecora nera che si rispetti.
Verdecchia Piero, Classe 1984, nato a
Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno. “Ragazzo semplice amico di tutti,
grande fratello incompreso dalla sua stessa “ridente cittadina, di mare
morente” è qualcosa in più, ma poco altro possiamo dire. Perché Verdecchia, in
arte CìPìCì , non ha ancora minimamente capito cosa vuol fare nella vita.
Anzi, della sua vita. La sua sì. Perché
Pièr è uno dei tanti esempi viventi e brillanti del disagio giovanile, che
falcia fresche promesse di futuro tra i suoi cittadini pur di non investire
qualcosa in più nel loro potenziale. Pur di non accollarsi l’impegno di lasciar
loro un’eredità morale, molti talenti nostrani sono gettati dai governanti nell’ombra, appartati negli spazi destinati
agli ultimi, agli scartati, ai diseredati e rinnegati.
Ma, come scrive Papa Francesco nel
suo saggio dedicato all’arte, quest’ultima ha il dovere di essere sempre
universale e assoluta, e proprio per questo di arrivare indistintamente a
tutti, anche a chi non ha mezzi o voce in capitolo nel procedere del nostro
attuale sistema agonizzante. Poco sociale e locale, ma molto globale.
L’arte germina dunque dal rifiuto,
dalla pietra di scarto che, come un atto di giustizia, si fa pietra angolare. Dal
rifiuto rinasce tutto, come dal letame. E di rifiuti Pier ne conosce tanti. Non
solo quelli dei suoi cari, degli amici, o quello inferto anche agli altri
compagni di sventura. Gli insulti, nati quasi sempre dalla Gorgone della vox populi
hanno bollato tutto il pacchetto - Piero con una parola, piccola ma dura come
macigno: Piero? Piero chi? Il tossico?
E mentre l’establishment dell’arte,
il gotha delle gallerie e le massaie di paese ignorano la fervida mente
creativa del Verdecchia, intanto nel SERT di San Benedetto del Tronto una
splendida Madonna in bianco e nero, disegnata per rabbia o per amore, dal
giovane artista di Grottammare, viene svenduta velocemente e di soppiatto in
cambio di una boccetta in più di metadone.
Mentre nelle cabine telefoniche l’artista
combatte contro l’astinenza e cerca di raggiungere lo spacciatore, quel suo
angelo della morte quotidiano, con l’ultima
telefonata e gli ultimi spicci, mentre pervicace cerca una dose ecco che il
genio intanto s’invola, Piero prende il suo pennarellone nero e inizia a
tracciare segni.
Segni polimorfici e a volte
polimaterici, mischiati a sputo, foglie, tabacco e gocce di alcol e sangue.
Sono segni che sono segnali, che non sanno da dove nascono né dove vogliono
arrivare. Immagini in nuce, ancora solo nella mente di Dio, perché quando lui
posa la punta della matita o del pennarello sulla liscia e bianca carta non sa
cosa deve fare. Piero riporta e lascia all’umanità indizi di sé scrivendo sui
vetri di plexiglas delle ultime cabine telefoniche sopravvissute alla
rottamazione, sui muri del centro commerciale, lungo gli snodi serpentini della
ferrovia regionale, sotto le finestre delle più belle ragazze del posto, o tra
le sottovesti della sua preferita amante e fatina Clara C.
Piero è un segno tracciato appena,
quasi schizzato di getto, e in perenne movimento e divenire, Un segno timido, che
ancora non coglie la sua più essenziale e intima strada: sono pittore? Sono
scrittore? O semplicemente sono Piero il tossico?
E mentre il dubbio di questa domanda
si dipana nella mente spesso solitaria, a volte troppo socievole per riuscire
tollerabile, e a volte divinamente visionaria, intanto l’arte si fa strada, avanza
imperterrita e innamorata della vita tutta, attraverso il canale privilegiato
del ritratto. La carne, gli sguardi, le labbra, gli incarnati e le gote. Fino
in fondo. Nell’anima della gente, di chi si fa guardare, lì dove nel volto di
un uomo o di una donna il sole esplode dietro agi occhi e l’alba si arresta.
E se i luoghi comuni, pur stucchevoli
e ritriti, hanno pur sempre le loro ragioni, e se dunque è vero che “trovatelo voi
oggi un giovane artista che sappia ancora fare un ritratto, che sappia
disegnare un volto o cesellare con l’ombreggiatura una muscolatura! ”, allora è
altrettanto vero che Piero è un artista diverso. Una promessa di futuro che
coniugherà la tecnica e l’olimpica classicità con la più caustica e struggente
contemporaneità.
E’ l’essere attuale e l’esserci di un
gesto artistico che non sa minimamente quanto possa essere bello.
Terra vergine emersa dal grigiore di una
provincia qualunque, Piero Verdecchia
farà parlare di sé.
Sia pure continuando a restare tra
gli invisibili.- Ma non era l’invisibilità
il più grande dono di ogni uomo quando diventa supereroe?- ricorda l’acclamatissimo street artist Banksy.
Ma se le cose procedono su questo
crinale, tra un’iniezione di eroina e l’ispirazione alta della prima mattina
l’arte di Piero crescerà e feconderà il terreno.
Fino ad arrivare, anonima, ultima tra
gli ultimi, sorniona e sovversiva, sulla scrivania del grande artista senza
volto e senza connotati Banksy. Uno dei più quotati.
E a quel puto sarà l’artista
americano ad avere un ritratto, sia esso una Donna, una Madonna o una puttana, del Piero Verdecchia piceno, di mano sensibile
sensuale e sensitiva, ma senza identità. Questa Madonna Nera arriverà. Per campeggiare
in eterno nella fervida stanzetta di Banksy, artista tra gli artisti,
sorpassato dall’istante di arte, sincero, presente e vivo, di Piero. Piero tossico. Ma soprattutto Piero
artista.
Chiara Crialesi
https://www.facebook.com/piero.verdecchia/photos?source_ref=pb_friends_tl
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